Recensione di Gabriele Fadini a “L’idolo. Teoria di una tentazione. Dalla Bibbia a Lacan” di Silvano Petrosino, Mimesis 2015.
Ne L’idolo. Teoria di una tentazione. Dalla Bibbia a Lacan, Silvano Petrosino sviluppa ed approfondisce alcuni temi già presenti al cuore di due suoi importanti testi precedenti, ovvero Babele. Architettura, filosofia, linguaggio di un delirio (2003) e soprattutto Soggettività e denaro. Logica di un inganno (2012). Già in apertura la “posizione” dell’autore è critica: se è indubbio che la tentazione idolatrica va combattuta, allo stesso tempo però essa attende sempre di essere adeguatamente compresa (p. 10). Commentando Lacan, Petrosino afferma che carattere precipuo dell’idolo è quello che lo accomuna ad un Io tanto forte quanto rigido, ad un Io che aspira alla padronanza, al possesso, al dominio. Compito della psicoanalisi sarà dunque quello di strappare il soggetto da questa tentazione (p. 33). Il soggetto infatti «è bucato, diviso, afflitto da una beanza, irriducibile, decentrato dalla coscienza di sé, attraversato da una reale eccentricità di sé a se stesso, abitato da un’assoluta eteronimia» (p. 35). Va allo stesso tempo ricordato che il buco, la beanza che attraversano il soggetto svuotandolo, porta all’incontro con un vuoto che non è un nulla ma un qualcosa di produttivo, un “di meno” capace di generare un “di più” (p. 37). Altra caratteristica del soggetto lacaniano messa in luce da Petrosino è l’essere abitato da un desiderio che ne costituisce l’essenza. Il desiderio però non ha oggetto, il suo movimento porta ineludibilmente al fallimento dell’oggetto di fronte al quale emerge il “fantasma” prodotto dal desiderio stesso (p. 41).
Biblicamente, la logica dell’idolo si compone di due caratteristiche: quella del possesso (p. 47) e quella della stabilità, della fermezza (p. 49). «L’idolo, espressione per eccellenza dell’esigenza di stabilità e sicurezza da parte del soggetto (si tratta di quella stessa “aspirazione alla padronanza” sottolineata da Lacan) deve essere assicurato e fissato al muro con un chiodo» (p. 50). A tal proposito, ovvero a proposito della verticalità dell’idolo, il nostro autore sottolinea come l’idolatria nasca non tanto dall’adorazione della verticalità, quanto più di quella verticalità che è dimentica dell’«orizzontalità» della giustizia (p. 51). Infatti «condannando l’idolatria, il Dio biblico più che difendere se stesso come Creatore, difende la giustizia stessa della creazione chiamando l’uomo» a vivere secondo la sua indomesticabile differenza e singolarità (pp. 54-55).
Il punto davvero decisivo ed il tratto peculiare dell’argomentazione di Petrosino consiste nel domandarsi il motivo per il quale il soggetto decide di costruire l’idolo, di consegnarsi a questa parte che si considera come un tutto. E ancora, a quale esigenza il soggetto risponde attraverso la costruzione e l’adorazione dell’idolo? (p. 59). Nel mondo il soggetto identifica l’altro sempre a partire dalle esigenze dello stesso, esso non è mai un per-sé ma sempre e solo per il soggetto. «In altri termini: all’interno del “suo mondo” il soggetto identifica l’altro necessariamente come un “suo oggetto”». L’uomo va verso l’altro per ricondurlo a sé, ma può fare anche l’esperienza dell’altro come altro, vale a dire come ciò il cui essere non si risolve nell’essere un oggetto del proprio godimento (p. 66). E questo poiché l’uomo è precisamente quel vivente che fa esperienza di un’eccedenza e di una resistenza rispetto all’ordine del proprio mondo. L’esperienza è sempre uscita, attraversamento, apertura, esposizione, incontro con il volto dell’altro, direbbe Levinas, che apre una nuova dimensione al di là del mondo del soggetto introducendo un punto di trascendenza all’interno dell’immanenza stessa e rendendo impossibile ogni tentativo ed ogni tentazione di totalizzazione (pp. 66 e 69). In termini lacaniani, la trama dei bisogni che intessono immanentemente il soggetto ed il suo mondo è attraversato dalla trascendenza del desiderio. Ciò che accomuna bisogno e desiderio è la mancanza, che nel desiderio è desiderio di niente poiché la mancanza essendo mancanza di essere è ciò che fa essere il soggetto (p. 72). L’esperienza è sempre abitata dall’alterità, è sempre esperienza di un’alterità. Il soggetto è abitato da una radicale eccentricità rispetto a sé. La grande illusione dell’uomo è quella di poter impadronirsi di questo “eccesso”, di diventare padrone a casa proprio all’interno del soggetto, in altri termini di suturare la mancanza attraverso il possesso ed il godimento di oggetti (p. 75). Il bisogno, che è sempre bisogno di oggetti, trova la propria verità nel godimento poiché ne esprime l’assoluta immediatezza ed il fine ultimo: «il soggetto si separa dall’anonimo fluire della vita in quanto gode della vita, di quella vita che grazie al godimento diventa la “sua” vita; il godimento è sempre il “proprio” godimento, di conseguenza si gode del proprio bisogno proprio perché esso è sempre proprio, ambito all’interno del quale si esperisce una proprietà» (p. 76). A tal proposito, Petrosino sposa in pieno l’analisi di Levinas che lega in un nesso fondamentale soggettività e godimento quale appoggio di fronte allo sconcerto provocato dal desiderio. In altre parole, il godimento nel bisogno dell’oggetto sostiene lo sconvolgimento di un desiderio che impedisce di sentirsi a casa propria. Ma questa quiete, questo sostegno, questa sicurezza e questo riposo non sono tipiche dell’idolo? (p. 78). Se infatti il godimento restituisce al soggetto una certa padronanza su se stesso, l’idolo analogamente è sempre qualcosa di fermo, stabile, sicuro, «è quella parte che il soggetto decide di percepire, vivere e adorare come il tutto, soprattutto quel tutto a portata di mano sul quale egli può esercitare il suo potere» (p. 79). Se tuttavia l’oggetto è destinato a fallire di fronte all’apparato lacunare del soggetto, a sostenere quest’ultimo è il fantasma che si coagula intorno ad ogni oggetto. Il compito del fantasma è quello di convertire la logica del desiderio in quella del bisogno, di tradurre il desiderio in un insieme di bisogni: «l’oggetto, per configurarsi all’altezza di un soggetto che è resta “desiderio in quanto tale”, deve essere fantasmizzato dal soggetto stesso» (p. 81). L’idolo ha la stessa funzione del godimento che fa trovare al soggetto una qualche conferma di consistenza. L’uomo fabbrica l’idolo per poter stare, per fermarsi, riposarsi, rassicurarsi e mettere così fine all’inquietudine che lo travaglia. L’idolo è destinato a cadere come non cessa di dire la Bibbia dovunque, e purtuttavia il processo di fabbricazione degli idoli va avanti creandone sempre uno di nuovo (p. 83) fino al punto che il soggetto che non si appaga della moltitudine di oggetti fantasmatici tuttavia decide di diventare lui stesso un oggetto, di farsi possedere dalla parte come se fosse il tutto. «L’idolo, si diceva, è una figura del possesso, ma ora si deve precisare (precisazione essenziale): è una figura non del possesso che posseggo ma di quello che mi possiede» (p. 88). Nell’esempio del consumismo la logica fantasmatica è ciò che fa sì che non si smetta mai di godere di oggetti che sembrano di volta in volta desiderabili (p. 97). Il fantasma quindi li rende ingannevolmente in grado di rispondere al desiderio del soggetto. Petrosino sottolinea come il consumismo non faccia altro che rispondere ad un’esigenza prettamente umana, ovvero quella di appoggiare il desiderio sul godimento. Allo stesso tempo però, quando il soggetto tenta di catturare il desiderio all’interno del bisogno sperando di trovare nel godimento la risposta al suo desiderio la ricerca del godimento diventa tanto incontrollata e perversa da trasformarsi in pulsione distruttiva (p. 106).
Solo un soggetto la cui esperienza è abitata da un’alterità irriducibile e non domabile può decidere di farsi possedere da un idolo (p. 117). Il soggetto per sua natura è soggetto all’idolatria senza per questo esserne imprigionato in essa, poiché l’inquietudine dell’alterità è il sintomo di un desiderio che non si risolve nel semplice appetito. «Il soggetto può vivere in modo tale da non trasformare la legittima ricerca del proprio godimento in una pulsione incontrollabile (che è un male), e così facendo, non trasformando idolatricamente il proprio godimento ne il “tutto”, può trattenersi dal distruggere, può resistere alla volontà di distruggere disponendosi invece ad accogliere» (p. 119). Questo perché l’eccedenza che accompagna l’altro vuol dire anche limite o ferita, appunto limite al proprio godimento, all’illimitata, e perciò distruttiva, affermazione del proprio godimento.
Il libro di Silvano Petrosino ricalca la preziosità della sua opera nel far interagire i due pensatori per eccellenza dell’alterità del secolo scorso, ovvero Levinas e Lacan. Ma non solo, poiché conferisce un punto di vista originale rispetto ad uno dei temi che, tra filosofia e psicoanalisi, è tra i più battuti, ovvero il rapporto tra desiderio e godimento. Si tratta poi di un testo pregno di “potenzialità” per un discorso esplicitamente politico. A tal proposito, punto critico è il mancato riferimento al lacaniano discorso del capitalismo nella parte destinata all’esempio del consumismo. Un riferimento cioè alla storicità della soggettività e ai rapporti di potere e di repressione/oppressione della produttività e del consumo.