a: Oggetto del desiderio, oggetto del godimento

di Anna Zanon, intervento del 24 settembre 2021 al Seminario “Lettere e letture di Lacan”.

Pongo all’orizzonte del mio intervento questo passo, tratto da una recente pubblicazione di Marie-Hélène Brousse, che in modo asciutto fa intravvedere la natura duplice dell’oggetto e la sua declinazione nella cura psicoanalitica. L’oggetto a, di cui non si ha un’idea, che non si può rappresentare né cogliere, attraversa ciò che l’analizzante dice e racconta in seduta in funzione delle onde del desiderio inconscio, che alla fine non gli consegnano una padronanza sul desiderio, ma rivelano il buco nero del godimento.

L’oggetto a, inventato da Lacan, non è un oggetto desiderato, bensì un oggetto che causa il desiderio presso gli umani. Non lo si coglie direttamente, ma attraversa i detti degli analizzanti in funzione delle onde che produce nella parola, onde che, nel corso di una cura, riveleranno il buco nero che è l’esperienza di godimento. Il desiderio inconscio è un’onda, lo si afferra là dove si fa strada nella lingua1.

L’oggetto a è un’invenzione di Lacan, l’unica che egli si attribuisce, che concettualizza nel Seminario X L’Angoscia 2, dopo una lunga elaborazione che lo ha impegnato nei Seminari precedenti. Gli spostamenti teorici compiuti negli anni da Lacan hanno portato al passaggio dallo statuto immaginario dell’oggetto a al suo statuto di godimento, trovando nella pulsione il suo punto di aggancio non immaginario.

Fino al Seminario X, l’oggetto del desiderio è teorizzato come quella cosa preziosa che l’Altro detiene e che il soggetto mira ad avere, nell’illusione di colmare la propria mancanza. L’oggetto del desiderio, l’agalma, sarebbe la posta in gioco di una tendenza, di un vettore lineare che a partire da una mancanza approderebbe a ciò che la tappa.

Questa visione un po’ romantica del desiderio e del suo oggetto non si realizza (quasi) mai, per questo esiste la psicoanalisi, che nasce per rispondere alla sofferenza dei nevrotici, che pensano di sapere ciò che desiderano, ma devono fare i conti con il fatto di desiderare qualcosa anche se non lo sanno e di cui non vogliono sapere niente. È con la scabrosità del desiderio inconscio che in un’analisi occorre fare i conti. I fantasmi di desiderio, in cui l’oggetto è a portata di mano, è lì davanti e basta afferrarlo, celano e al tempo stesso, col procedere della cura, rivelano, un fantasma fondamentale, molto stabile, fisso e invariabile, la cui stabilità è data da un oggetto che ha uno statuto diverso da quello immaginario: si tratta di un oggetto reale, prelevato dal corpo proprio, senza forma né rappresentazione, che concentra in sé la memoria indelebile di un godimento ineffabile. Questo oggetto informe si appoggia al concetto di zona erogena con cui Freud ha designato gli orifizi del corpo interessati dalle funzioni vitali.

La civilizzazione dell’individuo impone delle limitazioni: arriva il momento in cui il bambino deve rinunciare al seno e deve imparare a trattenere e rilasciare le feci al tempo dell’Altro, non a suo piacimento. Imparerà a modulare la voce, parlando anziché strillando, ecc.

Con Lacan, diciamo che il significante separa il godimento dal corpo. Ma nel momento stesso in cui la legge del simbolico interdice il godimento, una parte residua di esso va a rifugiarsi in un’enclave che è al tempo stesso legale e illegale: è legale perché ha tenuto conto dell’interdizione, ha detto di sì alla rimozione rinunciando alla totalità; è illegale perché, in quanto enclave, fa obiezione alla legge.

Quando Lacan dice che la legge e il desiderio sono la stessa cosa, intende dire che è l’interdizione a indicare ciò che da quel momento diventa desiderabile proprio in quanto proibito, e che prima dell’interdetto era ignorato come desiderabile, ma esperito come godimento ingenuo, autoerotico, come puro evento di corpo.

Questa fissazione di godimento nelle zone erogene, che sono strutture di bordo, contrariamente a quanto possa far pensare il termine “fissazione”, è tutt’altro che inerte. Essa è ben attiva e causa una spinta a ritrovare quell’esperienza di godimento originaria che l’interdizione aveva castrato.

Ipotizzo che la spinta, lì dove può disporre di una struttura simbolica articolata che la imbriglia e la incanala, diventa moto di desiderio che include l’Altro, ma la quota che non entra nel significante, che fa eccezione rispetto alla legge, si organizza per conto suo, senza l’Altro, e diventa pulsione. La pulsione è il ritorno in circuito della spinta, la cui meta è la soddisfazione e il cui oggetto, il vero oggetto, sta nel corpo proprio. Nella pulsione orale, per esempio, l’oggetto non è il cibo, il cibo è quello che Freud ha chiamato l’oggetto indifferente, qualsiasi. Esso funge da esca per acchiappare un pesce di altro valore, ovvero quel godimento indimenticabile che si è fissato nelle aperture del corpo come resto, dopo il taglio.

Tra desiderio e pulsione c’è una parentela molto più stretta di quanto abitualmente si pensi, se non altro perché entrambi hanno a che fare con l’oggetto. Non a caso, Lacan a partire dagli anni 70 ha insistito molto sulla topologia, la quale, più della geometria piana, rende efficacemente ragione della struttura psichica. Nella topologia gli elementi si annodano, si sovrappongono, s’intersecano, non sono incasellati in un quadro dove ognuno ha il suo posto, il desiderio da una parte, il godimento dall’altra, la pulsione da un’altra ancora.

E per tornare nello specifico al tema di questa sera, l’oggetto del desiderio, l’oggetto del godimento, possiamo già avanzare che l’oggetto a causa di desiderio ha strettamente a che fare con quel resto di godimento cui accennavo prima, e che pertanto si colloca dalla parte del soggetto, non nel mondo. Nel Seminario XIII, Lacan scrive: “Nel mondo degli oggetti niente potrebbe essere recepito come valore se non ci fosse qualcosa di più originale che è un certo oggetto che si chiama oggetto a e il cui valore ha un nome: valore di verità” 3.

Già nel Seminario VI Lacan rettificava la tendenza degli psicoanalisti post-freudiani, e non solo aggiungo io, a normalizzare il desiderio, facendogli perdere il suo accento originale per renderlo “conforme alle esigenze di una sorta di preformazione organica che lo trasporterebbe su vie già tracciate, sulle quali noi dovremmo ricondurlo quando se ne allontana (genitalità)”. E prosegue: “Nell’esperienza il desiderio si presenta in primo luogo come un disturbo. Esso turba la percezione dell’oggetto, lo degrada, lo disordina, lo svilisce, lo fa vacillare, talvolta arrivando addirittura a dissolvere colui che lo percepisce, vale a dire il soggetto. Il Lustprinzip ci viene presentato come opposto nella sua origine al principio di realtà. L’esperienza originaria del desiderio appare contraria alla costruzione della realtà. La ricerca che gli è propria ha un carattere cieco. Insomma, il desiderio si presenta come il tormento dell’uomo” 4.

Lungi dunque dall’idea di un desiderio guidato dal finalismo in cui l’esperienza umana convergerebbe verso una maturazione e uno sviluppo compiuto di un desiderio che sarebbe “in sintonia con il canto del mondo”. Freud ha teorizzato le origini paradossali del desiderio e il carattere di perversione polimorfa delle sue forme infantili, ma gli analisti post-freudiani si sono adoperati a ridurre la paradossalità di queste origini facendole convergere verso un fine armonico. La genitalizzazione del desiderio, l’ideale dell’amore genitale sarebbero alla base di una relazione oggettuale soddisfacente.

Ora si tratta di capire perché il desiderio non è “in sintonia con il canto del mondo”, ma “si presenta come il tormento dell’uomo”. Ed è il concetto di “causa” che dobbiamo considerare con più attenzione, perché nella clinica constatiamo come essa non venga mai assorbita dagli effetti, non si diluisce nella catena significante e nei suoi effetti di soggettivazione, ma turba l’intenzionalità del desiderio. Non si spiegherebbe, infatti, come mai i nevrotici nella loro condotta facciano di tutto per mantenere a distanza l’oggetto del loro desiderio, che pure inseguono. Si lamentano perché le relazioni con i partner finiscono sempre allo stesso modo, pur dichiarando di desiderare ardentemente una relazione stabile e soddisfacente. Qual è la pietra d’inciampo che fa sì che puntualmente l’oggetto del desiderio si riveli un’illusione?

C’è una causa, che il soggetto ignora, che fa sì che egli si mantenga a distanza dall’oggetto che dice di desiderare. Ciò che ci mette sulle tracce di questa causa sono le varie declinazioni del desiderio che vediamo nella clinica: desiderio impossibile, desiderio insoddisfatto, oggetti sopravvalutati o degradati, oggetti che suscitano ribrezzo, oggetti da contemplare, ecc.

Da cosa il nevrotico si tiene a distanza?

“Una distanza che non è del tutto tale – precisa Lacan – che è una distanza intima che si chiama prossimità, che non è identica a lui stesso … ma gli è prossima”. Questa citazione tratta dal Seminario VII5 ci dà delle indicazioni preziose sullo statuto complesso dell’oggetto a e sulla sua apparente duplicità, come oggetto esterno a cui il soggetto tende, oggetto del desiderio, metonimico, variabile, e come oggetto nascosto, intimo, ciò che dà forma a das Ding – termine che Freud ha usato nel Progetto di una psicologia 6, passato inosservato e che Lacan valorizza nel Seminario VII. Cercherò di riassumere per quanto possibile il passaggio del Progetto di Freud commentato da Lacan.

Freud ci dice che è sul prossimo che il bambino impara a conoscere, in quanto è l’unica forza ausiliare che si fa carico della sua inermità. È su questo Nebenmensch che si forma il giudizio, il quale è la scomposizione tra ciò che rimane sempre lo stesso e ciò che varia. Tra la Cosa e i suoi predicati.

Le percezioni che il bambino ha di chi si prende cura di lui, per esempio i movimenti delle mani, coincideranno con i suoi ricordi di analoghe impressioni visive del suo corpo e si associano ai ricordi di movimenti sperimentati da lui stesso. Altre percezioni saranno “nuove e imparagonabili”, per esempio i tratti del volto. Queste parti non coincidenti suscitano interesse e danno spunto ad attività di pensiero.

Da questo ricaviamo che l’interesse, e la stessa attività di pensiero, vengono suscitati dalla differenza tra ciò che si vede e ciò che rimane nascosto.

Come intendere questo passaggio? Il soggetto comprende ciò che dell’altro può assimilare al proprio corpo, tutto ciò che è simmetrico e riconducibile alle immagini già registrate, e s’interessa a ciò che è nuovo e imparagonabile. Quindi, il prossimo non è l’identico, l’identità non è totale, ed è al livello del Nebenmensch che avviene la scomposizione tra stesso e differente.

Quando l’identità è parziale – dice Freud – il complesso del Prossimo si separa e si divide in due componenti: una s’impone per la sua struttura costante come una Cosa (Ding) coerente; l’altra può essere capita mediante l’attività della memoria, può cioè essere ricondotta a un’informazione che il soggetto ha del proprio corpo. Questo scomporre un complesso percettivo si chiama conoscenza di esso e comporta un giudizio, e “quelle che noi chiamiamo cose – aggiunge Freud – sono residui che si sottraggono al giudizio”.

Freud dice “la Cosa si mantiene insieme”, cioè non si scompone, è un resto da cui non c’è più niente da separare. Dall’altra parte c’è ciò che continua a entrare in corrispondenza, grazie alle immagini di movimento, con ciò che è già là, con i simili. C’è riconoscimento, da cui si perviene all’identità.

Come potete vedere, qui si possono reperire le basi di due concetti fondamentali che la psicoanalisi teorizzerà via via: da una parte il narcisismo dell’immagine allo specchio, l’assimilabile, il comprensibile, il simmetrico, ciò che funge da prototipo degli oggetti desiderabili; dall’altra il nucleo dell’oggetto, l’impenetrabile, l’insecabile, l’estraneo, l’inaccessibile. Al cuore dell’oggetto di percezione c’è qualcosa che sfugge a ogni ricerca d’identità. E ciò che condurrà Lacan verso l’oggetto a non è das Ding in sé, ma l’operazione, il movimento di taglio, di separazione colto da Freud. Questo movimento di taglio possiamo chiamarlo estrazione dell’oggetto, separazione tra godimento e corpo.

La Cosa è l’elemento che originariamente il soggetto isola, nella sua esperienza del Prossimo, come estraneo. Il complesso dell’oggetto è in due parti, c’è divisione tra la Cosa e i suoi predicati, c’è differenza nell’esperienza della realtà che per costituirsi passa per il giudizio. Tutto ciò che dell’oggetto di percezione è qualità e può essere formulato come attributo, tutto ciò che entra nella logica predicativa, rientra nell’investimento del sistema psichico e costituisce le rappresentazioni – Vorstellungen – primitive. Das Ding resta fuori, cioè non entra nella rappresentazione, è a parte.

Nel costruire la sua teoria dell’oggetto a, è verosimile pensare che Lacan abbia tratto ispirazione da quella folgorante intuizione di Freud che è il “complesso del Nebenmensch”.

Guy Le Gaufay 7 fa una lettura interessante della definizione lacaniana di “oggetto parziale”: questo oggetto “senza equivalenza con gli altri” è assolutamente unico (solo), non ha il suo simile, è incomparabile non nel senso della sopravvalutazione, ma nel senso che non ha alterità, è a parte. In questo senso andrebbe inteso l’oggetto parziale, non come parte di un tutto. Se un oggetto può sempre essere paragonato alla sua immagine, l’oggetto parziale non è speculare, non ha un termine di paragone, ma è sempre mascherato dietro i suoi attributi.

L’oggetto a è il prodotto di quel movimento di separazione colto da Freud al livello del complesso del Prossimo in cui il taglio separa il corpo dal godimento, e il corpo diviene immaginario nella forma offerta dall’altro speculare. Se Das Ding è corpo-godimento, è il godimento assoluto supportato da un corpo, l’incontro con il linguaggio estrae da esso un oggetto che non è sostanziale, ma è la cicatrice che rimane dopo lo svuotamento della sostanza, è il bordo delle zone erogene lungo il quale si è fissato il godimento. Se un bel seno può essere un oggetto di desiderio, l’oggetto a, causa di desiderio, è il seno dello svezzamento, la cui caduta lascia un vuoto che non ha rappresentazione, non è comprensibile, non si palesa allo specchio, è estraneo.

Ciò che causa il desiderio è un lembo di reale prodotto dal taglio significante, e per ciò stesso, in quanto reale, resta fuori dalle coordinate immaginarie e simboliche che costruiscono la realtà.

Nel desiderio dobbiamo quindi distinguere la causa in quanto reale e l’oggetto in quanto immaginario, che sta fuori di noi ma che è assimilabile al nostro corpo, confortevole in quanto in esso ci riconosciamo. Potremmo dire che l’oggetto del desiderio sta dalla parte del principio di piacere, il quale fa sì che il soggetto cerchi ciò che gli manca, ma ciò che turba questa ricerca è che non si tratta di trovare, ma di ri-trovare. Il desiderio può trovare e raggiungere molti oggetti della realtà, ma il suo carattere tormentoso dice che nessuno di questi oggetti può eguagliare l’oggetto che si tratta di ri-trovare.

È in questo ritrovamento impossibile di un oggetto, che ormai è lasciato alle spalle come perdita, che le acque del desiderio si mescolano con le acque del godimento.

E qui ritorniamo alla questione cui prima accennavo: che relazione c’è tra il desiderio e la pulsione? Se per Freud l’oggetto della pulsione è indifferente e la soddisfazione non dipende da esso, in quanto essa è data dal movimento di andata e ritorno del circuito pulsionale, possiamo intendere l’oggetto a causa di desiderio omologo al circuito pulsionale stesso, nel senso che – prendiamo ad esempio l’oggetto orale – il seno che riempiva la cavità orale, una volta caduto, lascia un vuoto delimitato dal bordo della bocca, che si apre e si chiude su questo stesso vuoto. In fondo, l’oggetto a si riduce a un vuoto intorno al quale la pulsione gira. Il godimento autoerotico che ne deriva renderebbe ebeti se non vivessimo in relazione con gli altri, se l’Altro non offrisse un campo dove trasferire questo godimento insensato, collocandolo in un orizzonte di senso. Questo trasferimento, questo transfert, e più precisamente l’amore di transfert è l’unica cosa che “permette al godimento di accondiscendere al desiderio”8.

Se l’oggetto di desiderio sembra rispondere a una tendenza che segue un percorso rettilineo, la cui meta non è impossibile da raggiungere, l’insoddisfazione, che puntualmente si produce anche quando si ottiene ciò che si desidera, rivela la natura illusoria di questo oggetto, dietro il quale si cela l’oggetto causa. “A questo oggetto a causa di desiderio – dice Lacan nel Seminario XI – dobbiamo dare una funzione tale da poter dire il suo posto nella soddisfazione della pulsione. La pulsione ne fa il giro” 9.

Normalmente, questo oggetto a causa di desiderio rimane nascosto. Ne abbiamo solo un indice nei paludamenti agalmatici che, rivestendolo, gli danno la forma di oggetto di desiderio. L’oggetto di desiderio dissimula l’oggetto di godimento, che è il vero agente del desiderio. Siamo circondati dagli oggetti di desiderio, che hanno una funzione ansiolitica, familiare, heimlich direbbe Freud. Ma non è su di essi che Lacan ha costruito il suo oggetto a. Lo costruisce nel Seminario X a partire dall’angoscia. L’angoscia è l’affetto che segnala l’apparizione dell’oggetto nascosto, segreto, nel campo delle rappresentazioni che sono ciò che ci orientano nel mondo. È l’apparizione improvvisa del reale nel corpo immaginario teorizzato da Lacan nello stadio dello specchio, corpo in quanto buona forma che vela l’oggetto inquietante, unheimlich.

Nello stadio dello specchio, nel rapporto con l’altro immaginario, la propria identità è sempre mal districabile dall’identità dell’altro. Interviene così la mediazione di un oggetto comune, spartibile, che gioca nello scambio. Gli altri, prelevati dal corpo, quando entrano nel campo della spartizione, che non è il loro, quando vi compaiono e diventano riconoscibili, provocano l’angoscia che segnala la particolarità del loro statuto. Sono gli oggetti anteriori alla costituzione degli oggetti comuni, socializzati, sono gli oggetti a: seno, feci, sguardo, voce. Gli oggetti comuni sono una trasformazione (Ersatz) degli oggetti a, sono dei surrogati, dei posticci. L’oggetto comune può essere domandato, scambiato, è l’oggetto familiare, heimlich. L’oggetto a causa di desiderio nel campo dell’Altro, è unheimlich.

Nella conferenza dal titolo Del Trieb di Freud 10, tenuta a Roma nel febbraio 64, Lacan ripropone la distinzione tra l’oggetto del desiderio e l’oggetto causa in questi termini: “È il reale che fa il desiderio, riproducendo in esso la relazione del soggetto con l’oggetto perduto. Non mancano gli oggetti, col loro passare come profitti e perdite, per tenerne il posto. Ma solo in numero limitato possono sostenere un ruolo simbolizzato nel migliore dei modi dall’automutilazione della lucertola, la coda abbandonata nella miseria. Disavventura del desiderio sulle siepi del godimento”.

L’ultima frase, che ha della poesia, dice di quale oggetto si tratta: un pezzo staccato, miserevole, che finisce tra gli scarti, oggetto di godimento su cui s’impiglia il desiderio.

L’angoscia non è senza oggetto, dice Lacan. Infatti, essa non è causata dalla perdita dell’oggetto, ma dall’irruzione dell’oggetto perduto – la coda mutilata della lucertola abbandonata nella miseria -, da un eccesso di presenza di a. Si ha angoscia quando a irrompe sulla scena e fa cadere la maschera, provocando un’angoscia tale da far vacillare il soggetto, da farlo svanire (attacco di panico), il soggetto svanisce nel senso che rimane senza rappresentazione (il soggetto è sempre e solo rappresentato da un significante per un altro significante) e si trova ridotto ad essere niente più che quel resto di godimento che pure gli dava consistenza, a condizione di restare nascosto. Quest’oggetto è completamente estraneo per il soggetto che lo incontra, ma è anche il più intimo, il più familiare, è il cuore stesso del suo essere, perché è quella parte reale di lui, parte caduca, perduta, il cui ritorno provoca quel sentimento di inquietante estraneità che Freud nel 1919 rilevava come specifica del fenomeno dell’angoscia, che deriva dall’ambivalenza dell’oggetto a, al tempo stesso intimo ed estraneo.

Un altro indice dell’oggetto a che irrompe sulla scena Lacan lo dà nella risposta a Paul Mathis alla fine della lezione del 6 maggio 1964. Porta l’esempio della reazione di disgusto che ha l’isterica quando un oggetto sessuale prende la china della realtà e si presenta come un “pacchetto di carne”. Il disgusto isterico è una forma di desessualizzazione che interviene nel momento di caduta del sembiante fallico, in cui l’agalma rivela la sua natura di palea. Si tratta cioè del disgusto generato dalla riduzione del partner sessuale a una funzione di realtà qualunque. Il realismo del pacchetto di carne, che pure esiste, turba l’isterica, che non può vivere la sessualità fuori da una dimensione di sembiante.

Note

  1. M.-H. Brousse, Modo di godere al femminile, Rosemberg&Sellier, Torino 2021, pp. 13-14.  []
  2. J. Lacan, Il Seminario. Libro X. L’angoscia, Einaudi, Torino, 2007.  []
  3. J. Lacan, Le Séminaire. Livre XIII. L’objet de la psychanalyse, inedito, lezione del 7 gennaio 1966.  []
  4. J. Lacan, Il Seminario. Libro VI. Il desiderio e la sua interpretazione, Einaudi, Torino 2016, p. 396.  []
  5. J. Lacan, Il Seminario. Libro VII. L’etica della psicoanalisi, Einaudi, Torino 1994, p. 95.  []
  6. S. Freud, Progetto di una psicologia, in Opere, Volume 2, Boringhieri, Torino 1977. In particolare i capitoli 17 e 18, pp. 234-237.  []
  7. Guy Le Gaufay, L’objet a, Epel, Paris 2014.  []
  8. J. Lacan, Il Seminario. Libro X. L’angoscia, cit., p. 193.  []
  9. J. Lacan, Il Seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, Einaudi, Torino 2006, p. 164.  []
  10. J. Lacan, “Del Trieb di Freud e del desiderio dello psicoanalista”, in Scritti, Volume II, Einaudi, Torino 2002, p. 857.  []